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Il
libello di Don Giovanni Battista Segni “Discorso sopra la carestia, e fame”
Individuate
le probabili cause della carestia, Don Giovanni Segni si preoccupa di dare
utili consigli sul modo di affrontare la fame. Propone, quindi, una sorta di ricettario,
sia ad un pubblico di ricchi che ai più poveri.
“Ha trovato l’uomo fare più sorti di pane
mescolando insieme fave, miglio, oroo, riso, farro, giande, sorgo, castagne e
di tutti i ligumi, di semmola, di raviggiuolo, di radiche, ecc.”, inoltre, “…io
vi revelo dui reffugi per la carestia, uno de’ ricchi cittadini, l’altro dei
poveri e miserabili”.
Il
nostro canonico, infine, scrive di avere ricavato queste ricette di pane dal
signor Baldagnolo Abbati, nobile gubino e medico vecchio del serenissimo di
Urbino il quale aveva “testato” e pubblicato, dopo molto studio, il suo
ricettario.
Don
Giovanni Battista, quindi, elenca, gli usi e costumi delle varie culture storiche,
a riprova della loro “commestibilità”; tra i vari usi che menziona, scrive:
“essendo maggior carestia di grano, suplirà l’orzo d’ogni specie, puro,
macinato e fattone pane, come costumano gli Ebrei” e, ancora, “si fa pane di
segala e di formentone come oggi in Germania”, fino agli antichi: “Galeno e
Oribasio fanno menzione che a tempo di carestie si faceva di miglio e di avena
il pane. Si è costumato di far pane di farina di tutti i legumi, massime fava,
ceci, cicerchie, lente, moro, vezza mescolata e pura, con altre farine secondo la
maggiore abbondanza d’esse; di miglio e di castagne secche ridotte in farina,
mescolata con decozzione di rape o zucche o mele con formento”.
Segue
un elenco di possibili ricette di polente sazianti, con latte d’ogni animale
(!), brodi grassi, farine d’ogni specie, legumi e castagne condite con “butiro
fresco, che sazia assai”, carne vaccina, di bufala e d’ogni simile animale,
ovviamente da trattare preventivamente mediante salagione, per poi ridurre in
polvere la materia prima usata.
Molto
più colorata risulta essere la rubrica dedicata al confezionamento di pani da
parte dei più poveri.
Dopo
la raccomandazione di avere a disposizione del buon lievito, segue un elenco
delle proposte culinarie, piuttosto originali...
Per
esempio si propone di usare la gramigna, seccata e polverizzata, previa cottura
in forno, come alternativa alla farina di grano tenero. Una valida alternativa sono
le ghiande secche e le castagne o, ancora, la farina di miglio e panico, di
sagina, di luppoli, di segala.
Andranno
bene anche le farine fatte di segatura (!) d’arbori giovani, come peri, meli,
ciliegi, ma anche le radici delle erbe.
Per
introdurre l’ultima proposta, o per meglio dire l’ultima spiaggia, il nostro
autore cita un’antichissima tradizione che risale addirittura a Mosè e che,
evidentemente, avrebbe dovuto rendere anche più tollerabile l’ultima soluzione:
il pane di locuste, prerogativa, peraltro, dei popoli arabi. Il procedimento è
piuttosto semplice: si ammazzano le locuste, e subito si lascino seccare al
sole; infine, si riducono in polvere, ottenendo un insolito, di certo, pane. Se
fosse stato anche buono, il nostro autore non lo precisa…
Immagine:
Annibale Carracci, Mangiafagioli, 1584-1585, Galleria Colonna, Roma
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